29 Marzo 2024

Santa Lucia nel racconto di Federico García Lorca

Federico Garcia Lorca

Poeta e drammaturgo spagnolo. Avanguardista nel cuore e nella penna. Federico García Lorca, amico di Luis Buñuel e Salvador Dalí, compì un viaggio, di certo mentale, tra gli occhi e il piatto della martire siracusana. Santa Lucia in un suo racconto tratto dalla raccolta Amanti assassinati da una pernice (ed. Guanda, 1993). Lo scritto ha il sapore della prosa poetica, il piglio di un osservatore emozionato. Ci piace inserire i suoi pensieri qui, ciò che l’autore spagnolo ha provato (presumibilmente tra il 1924 e il 1928) di fronte all’immagine della vergine. Non sappiamo però con certezza se García Lorca abbia mai visto il simulacro argenteo fabbricato nel XVII secolo e conservato nel Duomo di Siracusa.

Nel racconto Santa Lucia e san Lazzaro si muove tra una stazione, una locanda e una cattedrale. Lì gli appare l’immagine della santa e lì è preda di una rivelazione: “Santa Lucia era una bella giovane di Siracusa. È rappresentata con due magnifici occhi di bue posati su un vassoio. Patì il martirio sotto il console Pascasiano, che aveva i baffi d’argento e urlava come un mastino. Come tutti i santi, pose e risolse problemi deliziosi, davanti ai quali s’infrangono le lenti degli apparati di Fisica. Ella mostrò sulla pubblica piazza, dinnanzi all’ammirazione del popolo, che mille uomini e cinquanta paia di buoi nulla possono contro la luminosa colomba dello Spirito Santo. Il suo corpo, divenne come piombo compresso. Sicuramente Nostro Signore le sedeva sulla cintura con scettro e corona”.

Lo scrittore viaggia tra realtà e fantasia, tra umano e divino, in un turbinìo di immagini che per nulla urtano il comune sentimento di devozione verso la martire siracusana: “Santa Lucia era una ragazza alta, seni piccoli e fianchi opulenti. Come tutte le donne fiere aveva occhi troppo grandi, mascolini, con una sgradevole luce scura. Spirò su un letto di fiamme”. Ed eccolo immerso nel cuore di una funzione religiosa a lei dedicata: “Nella cattedrale si celebrava la solenne novena dedicata agli occhi di santa Lucia. Si glorificava l’aspetto esteriore delle cose, la bellezza fresca e pulita della pelle, l’incanto delle esili superfici, e s’implorava aiuto contro le oscure fisiologie del corpo, contro il fuoco centrale e gli imbuti della notte, sollevando, sotto la cupola senza semi, una lastra di cristallo purissimo crivellata in ogni sua parte da fini riflettori d’oro”.

E poi un inno a quegli occhi miracolosi: “Occhi di Santa Lucia adagiati sulle nuvole, in primo piano, con l’espressione degli uccelli quando hanno appena smesso di volare. Occhi di santa Lucia. Lontani da ogni battito e da ogni afflizione. Durevoli e inerti. Senza oscillazione alcuna. Mentre vedono la fuga di tutte le cose ravvolte nella loro difficile eterna temperatura. Degni del vassoio che li rende reali e ritti, come i seni di Venere, dinanzi al monocolo pieno d’ironia del loro maligno nemico”.

Daniela Frisone

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