27 Aprile 2024

Gabriele Agosta, “la mia Sicilia dal blues alla musica contemporanea”

Un viaggio nel mondo della musica contemporanea, uno sguardo verso le nuove frontiere dell’improvvisazione. Ne parliamo con Gabriele Agosta, pianista e produttore musicale siracusano.

Benvenuto Gabriele. Che cosa significa per te oggi essere un compositore in una provincia come la nostra?

Grazie per l’invito. Beh, certamente l’ambiente influenza la composizione, la scrittura, questo perché i ritmi e le sonorità di una metropoli non sono quelli di una piccola provincia. Per quanto riguarda la diffusione, oggi internet offre la possibilità di un ascolto a livello globale, anche se una parte importante è consegnata al pubblico reale… e in una cittadina come Siracusa, si sa, c’è carenza di luoghi destinati all’esibizione. In generale, poi, in Italia si avverte poco coraggio e poca voglia di scoprire generi nuovi, nuove tendenze, forse perché dà più sicurezza ciò che si conosce.

Gabriele Agosta

Qual è la situazione in Sicilia dal punto di vista musicale?

C’è un tasso di talento superiore rispetto alla media nazionale probabilmente perché i siciliani godono di una stratificazione storico-culturale molto intensa che si esterna in una capacità di sintesi e creatività di grande spessore. Il problema semmai sono le scarse possibilità dettate da un sistema periferico, anche se esistono centri come Palermo e Catania dove c’è molto fermento. Questo non accade invece a Siracusa dove, anche se ci sono delle manifestazioni interessanti, rimangono sporadiche e scollegate tra di loro.

Parlaci della tua ricerca musicale.

Io vengo dal jazz e da tutto ciò che gli gira intorno, quindi fondamentalmente improvvisazione. Tendo quindi a immaginare la musica come una: non serve sforzarsi di incasellarla in generi diversi. Preferisco concepirla come un grande flusso con zone sfumate in cui posso trovare la mia identità. Mi piace sperimentare tecniche nuove, rintracciare nuovi stimoli, ad esempio nell’elettronica, nelle sonorità innovative di strumenti inusuali. Ecco perché guardo alla composizione come a una lenta improvvisazione e all’improvvisazione come a una veloce composizione.

Che cosa c’è di questa terra nella tua musica?

Io percepisco la Sicilia come il blues, con una sua realtà malinconica, divisa tra allegria e tristezza. Questa terra mi offre spunti di straordinaria bellezza che si scontrano con il sentimento di apatia, con il clima umido. Rientrano nella mia produzione gli aspetti up e quelli down, che costantemente cerco di equilibrare.

Parlaci del tuo ultimo lavoro, “Fragments”, che sarà disponibile sabato 3 dicembre sulle piattaforme digitali.

È la messa in musica della frammentazione emotiva, lavorativa e umana. Non dimentichiamo che siamo reduci da una pandemia, che ha messo a nudo le nostre fragilità. Ho quindi cercato di trasferire nel mio lavoro una metafora della vita, quella in cui noi tutti siamo parti individuali di un grande insieme. Il mio album di esordio, “Sounds from the Lab”, prodotto per la formazione semifinalista dell’international Jazz Competition di Bucarest, è del 2018. Da allora sono passati degli anni, un tempo in cui ho cercato e finalmente trovato qualcosa che mi piaceva davvero e in cui mi rispecchiavo.

Progetti futuri?

Sperimentare una routine di composizione, con autocritica e coraggio per trovare una versione di me che mi soddisfi. Altra cosa: la collaborazione, perché credo sia fondamentale per la crescita. Infatti se ognuno di noi ha una mela e ce la scambiano, avremo una mela ciascuno, ma se ognuno di noi ha un’idea e ce la scambiano, allora ciascuno di noi ne avrà due, di idee.

Daniela Frisone

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