20 Aprile 2024

Tratta di esseri umani e riti woodoo, la Squadra Mobile arresta una delle madame

Sei anni di indagini per ricostruire il traffico di esseri umani gestito da un gruppo nigeriano che non avrebbe risparmiato riti woodoo per costringere alcune ragazze a prostituirsi.

Gli uomini della Squadra Mobile di Siracusa, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e la collaborazione dei colleghi di Foggia, hanno arrestato una donna nigeriana abitante in Puglia. Nel fascicolo d’inchiesta che porta il suo nome le accuse di essere uno dei terminali organizzativi di tratta di esseri umani con riduzione alla schiavitù. Contro di lei una serie di aggravanti avendo agito in danno di minori, aver esposto le persone ad un grave pericolo per la vita. Le vittime sono state costrette ad attraversare regioni africane controllate da criminali che le hanno sottoposte a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza.

Giunto in Libia il carico di essere umani veniva costretto a salire a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti così da esporre tutti al rischio di naufragio.

Le attività investigative avrebbero permesso di individuare un flusso di giovani donne reclutate in Nigeria ed introdotte in Italia per poi essere avviate all’attività della prostituzione, mediante costrizione perpetrata, nella quasi totalità dei casi, tramite l’inganno e la pratica dei riti woodoo. Grazie al forte potere di intimidazione derivante dalla sottoposizione al cosiddetto rito “Ju-Ju”, l’indagata sarebbe riuscita a convincere le vittime a scappare dai centri di accoglienza, ove erano state portate dopo l’arrivo in Italia.

L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e svolta dagli investigatori della Squadra Mobile di Siracusa, ha tratto origine dalle dichiarazioni di una giovane donna nigeriana, che, al momento dello sbarco presso il porto commerciale di Augusta nel luglio 2016, raccontò di avere intrapreso un lungo viaggio in autobus dalla Nigeria fino in Libia e da lì  verso l’Italia, attraversando il mare, contraendo un debito di trentamila euro quale corrispettivo per “le spese di viaggio”.

Costretta a subire violenze fisiche e psichiche durante il soggiorno libico in attesa dell’imbarco, dopo aver conosciuto quale destino l’attendeva in Italia, la giovane donna ha subito chiesto aiuto al suo arrivo ad Augusta.

Grazie alle sue dichiarazioni, i poliziotti sono riusciti a ricostruire pian piano la rete di trafficanti. L’arrestata viene considerata la madame dell’organizzazione, chi, in buona sostanza, gestiva le ragazze avviate alla prostituzione. Ad aiutarla due uomini. Un native doctor, un capo spirituale di una regione delle Nigeria, che si occupava del reclutamento e alla sottoposizione al rito juju, ed un altro uomo incaricato di ricevere le somme necessarie al pagamento dei contrabbandieri e degli scafisti.

La donna arrestata in provincia di Foggia avrebbe gestito, nell’arco di pochi mesi, il viaggio di almeno 8 ragazze, tre delle quali effettivamente arrivate in Italia, nonché la prostituzione di almeno due di loro.

L’attività d’indagine consentiva, tra l’altro, di rilevare numerose transazioni economiche di denaro dall’Italia verso la Nigeria che sarebbero state effettuate dalla indagata utilizzando denaro proveniente dallo sfruttamento sessuale delle vittime giunte in Italia: l’indagata – apparentemente priva di fonti di reddito – sarebbe riuscita a inviare continuamente somme avvalendosi dei servizi di altri connazionali che, al di fuori di ipotesi di concorso nel reato, avrebbero provveduto alle rimesse trattenendo una provvigione per l’attività svolta.

Le rimesse sarebbero state reinvestite in pagamenti ai complici oltre ad investimenti immobiliari realizzati in Nigeria.

Il modus operandi seguito sarebbe risultato abbastanza semplice ma efficace: l’indagata sarebbe stata difatti solita effettuare plurimi e continui trasferimenti di somme non sempre destinate alla stessa persona, attraverso soggetti che offrivano il servizio di rimesse all’estero secondo un sistema non tracciabile di informal banking.

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