Nell’ottobre del 1917 «L’Italia futurista» pubblicava, a firma di Salvatore Quasimodo, la poesia parolibera Sera d’estate. Ad oggi l’unica prova futurista del modicano che, per quanto non lo iscriva tra i militanti marinettiani, dà modo di indagare sul rapporto del giovane poeta con certe ventate avanguardiste.

La poesia fu rieditata il 28 gennaio del 1962 sulla rivista romana «La Fiera letteraria», e Quasimodo ne commentò le circostanze: Ricordo, appunto, che una sera d’estate del 1917, io stavo seduto con alcuni amici, fra i quali Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, e in uno degli intervalli dell’orchestrina composta da sole donne, avevo scritto per vincere la noia su un pezzo di carta da gelati la composizione futurista. Era un gioco lirico, s’intende. Avevo sedici anni e avevo “passato” la visita militare. Ognuno di noi si aspettava di andare da un giorno all’altro sotto le armi. Nessuno pensava alla disfatta dell’autunno. Anzi. Io non ho mai avuto quel numero dell’“Italia Futurista” col mio scritto. Ora il redattore de “La Fiera Letteraria” mi dice che ha ricevuto la composizione fotografata dagli archivi di una biblioteca tedesca. Penso senza volerlo ai miei sedici anni, e mi meraviglio che il documento venga dalla Germania. Un giornale tirato su da qualche sotterraneo dopo una guerra di sterminio. La storia del Futurismo si è fatta in Germania, non in Italia


 Salvatore Pugliatti ricordò quel momento creativo come una specie di gioco, al caffè, fra amici, consegnando alla storia l’idea della composizione come frutto di un passatempo tra compagni di scuola. Eppure, al fattore ludico non corrispose la scelta accidentale di una tecnica letteraria qualsiasi, ma del paroliberismo, la cui conoscenza è addebitabile a letture di autori moderni e di riviste d’avanguardia che di fattoinfiammavano le menti dei giovani messinesi.

 Si guardi la struttura grafica di «LUTTO CELESTE», che segue una morbida discesa prima di impennarsi verso l’alto: potrebbe rappresentare il movimento del treno che attraversa una valle per poi risalirla. È un’ossimorica analogia di stampo futurista, seguita dall’onomatopea dei grilli e dall’espressione “fra l’anime degli alberi” di connotazione simbolista. È chiara l’impronta pascoliana di cui si nutriva il Cenacolo di Enrico Cardile, Giuseppe Rino, Giuseppe Arrosto, Umberto Saffiotti e Angelo Toscano, che Quasimodo e i suoi compagni conoscevano bene in una Messina pre-terremoto, città di frontiera intrisa di cultura simbolista e d’avanguardia. 

Poi, il passaggio del treno prosegue virtualmente tra le acque ondulate dell’ecolalìa «FIUME FIUME FIUME», per incontrare il verso della rana «nella mota NEROGNOLA» e il ronzio di insetti («ZIZIZZZ….») «lungo arbusti verdognoli-giallastri», così che a moduli iconici di stampo marinettiano si amalgamano frangenti poetici di memoria dannunziana. Di seguito il quadrangolare passaggio del treno su un «ponte» di «ferro», il fischiare della locomotiva («FIFI….FIFI…FIFI… I I I… FIFI») chiamata «MASSA LUNGA ADAMANTINA», della sua «SOSPIRANTE CORSA FOLLE». Infine un’immagine sospesa: «AMBRA PALLIDAMENTE sfumata» potrebbe richiamare il colore delle scintille, dovute all’attrito del treno in corsa sulle rotaie, che in lontananza vanno pian piano a sbiadirsi. In conclusione se si pensa che l’uso di parole come «sera», «anime», «alberi», «fiume», ha a che fare con la storia della poesia quasimodiana, allora Sera d’estate non può essere considerata una prova isolata, bensì una tappa, seppur breve, dell’evoluzione lirica del primissimo Quasimodo.

Daniela Frisone