23 Aprile 2024

Il culto della “prostituzione sacra” nell’antica Grecia

Il costume è lo specchio del tempo. È la storia a parlarcene, a raccontarci i cambiamenti nei gusti e nelle passioni dell’umanità. In fondo il nostro è un viaggio intorno a tutto ciò che riguarda l’uomo e la sua maggiore arte, la vita.

Ecco perché ci affascina il tempo dei greci che da Corinto si spostarono a colonizzare Siracusa. Allora il culto di Afrodite si era già diffuso nella Magna Grecia. Era un culto straordinario, radunava numerosi adepti perché scacciava il pensiero della morte attraverso rituali legati alla carnalità. In special modo la dea della bellezza e dell’amore veniva onorata con la cosiddetta “prostituzione sacra”. In pratica alcune donne venivano dedicate ai templi della divinità: offrivano se stesse in cambio di denaro, assicurando fertilità, benessere e ogni sorta di protezione da parte di Afrodite alla cittadinanza. Il denaro diventava tesoro del tempio stesso, testimonianza di grande onorificenza per un culto tutt’altro che blasfemo. Rientrava nei canoni del costume di allora, appunto. Il sesso sfrenato era l’apoteosi dell’amore, per cui le donne che praticavano certi servigi erano da considerarsi sacre, protette, privilegiate. 

APalazzolo Acreide c’era un Aphrodision, edificato nel VI secolo a. C. e andato distrutto a causa del terremoto del 1693. Del tempio “consacrato ad Afrodite” oggi restano solo i blocchi squadrati del basamento, da cui gli studiosi hanno ipotizzato l’esistenza di statue votive dedicate alla più bella dea dell’Olimpo. Culti antichi e di certo storie di donne avvolte nelle nebbie del tempo. Allora la prostituzione assumeva caratteristiche ben lontane dal mondo cristianizzato, dalla mentalità attuale. Piuttosto moderna, invece, era la concezione delle “etere”. Erano cortigiane, concubine sofisticate e colte. Donne per certi versi schiave, per altri libere: offrivano sesso, compagnia, ma potevano anche gestire il loro patrimonio, avere vita sociale senza alcun tipo di soggezionemaschile. Godevano di rispetto, partecipavano alla vita pubblica, e soprattutto ai simposi maschili, comunemente vietati alle donne.

Decantare versi, suonare gli aulos, danzare, bere vino, conversare, dare e ricevere piacere in tutte le sue forme. Le etere influenzavano così il pensiero degli uomini della Magna Grecia. Erano intellettuali e amanti al tempo stesso. Non spose, non sottomesse a ciò che regolava i matrimoni del tempo: geishe di un mondo antichissimo si votavano, tra passioni fisiche e mentali, all’arte nel senso più sublime del termine. Nulla a che fare con i doveri della procreazione, della cura della casa, dell’assistenza ai figli. Esse incarnavano la femminilità antitradizionale per antonomasia. Così la mitica figura di Aspasia di Mileto, amante di Pericle, pare fosse un’etera. Secondo Plutarco, riuscì a sedurre lo stratega ateniese grazie a “una certa saggezza e abilità politica”. Ma forse sarebbe più intrigante immaginarla come maestra di filosofia e retorica di uomini di spicco del V secolo a. C.  

  Daniela Frisone  

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