14 Luglio 2025

Estate fine ‘800, cose da donne tra calura e costumi che cambiano

Le gambe non venivano mostrate. Neppure un lembo del corpo poteva essere esposto. Bisognava andare completamente coperte perché il sole poteva far male alla pelle e le nobildonne non si abbronzavano, erano diafane, erano colore della luna nelle penombre estive di inizio secolo Ventesimo. 

Le siciliane, le aristocratiche dell’Isola – perché delle popolane si sa poco o nulla – attendevano la bella stagione per rinfrescarsi dalla calura incombente. L’abbigliamento balneare sul finire del secolo precedente era ingombrante. I giornali dell’epoca, quelli sicilianiun po’ meno rispetto ai fogli del Nord, insegnavano quali ombrellini o cappellini utilizzare per evitare ustioni, per quanto tempo occorreva sostare in spiaggia, come immergersi nel mare per riemergerne abbinando il vestitino chiaro con il parasole in tinta.

Se la Contessa Lara sul finire dell’Ottocento si lasciava andare a “cose da donne” su un quotidiano triestino, e la nostalgica sensazione di fine estate passava al desiderio dei manicotti e dei boa di gallo translucido, le sue parole di certo non rimanevano mute, vuoi i contatti coi siciliani, i poeti che l’avevano amata, vuoi la corrispondenza tra le amiche, il tam tamdelle cugine da un capo all’altro dell’Italia, e ancora il passamano delle pubbliciste siciliane, sta di fatto che quelle parole, che sapevano di costume, di novità e imperdibili must, potevano riecheggiare per ore nelle conversazioni delle nobili durante idopo cena nei salotti delle ville alto borghesi. Di solito era la campagna, almeno fino a buona parte dell’Ottocento, e non il mare la meta estiva più gettonata.

Nel tempo, le spiagge fecero breccia nel delicato cuore femminile, considerato pure che il mondo, e quindi anche il costume da bagno iniziava ad apparire meno pesante e complicato. Per le immersioni e le soste sul bagnasciuga cominciarono ad esser di moda i pagliaccetti o i pantaloni alla zuava che accompagnavano le gonne a campana, poi le magliette a righe alla marinara ornate di fiocchi e nastrini che si insinuavano delicatamente nei bustini a mettere in mostra le belle silhouette, mentre le calze oscuravano, quasi compattavanole gambe intrepide che scivolavano sulla battigia con scarpette leggere e traforate per far passare l’acqua e infine legate con lunghe stringhe intorno alle caviglie. Il mare, il sole, le giornate calde terminavano nei riposini pomeridiani e nelle passeggiate serali tra le tenute e i giardini innaffiati dalla notte precedente. 

E mentre il verso della cicala lasciava il posto al canto del grillo, tra un sorbetto e un biancomangiare, gli occhi delle dame isolane puntavano a costellazioni lontane schiudendosi a qualche nascosto o perduto amore.

Daniela Frisone

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